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SARS-CoV-2: conoscerlo per evitarlo

a cura di Davis Cussotto

BIOLOGIA

I Coronavirus costituiscono una famiglia di virus, infettante i mammiferi e gli uccelli. Hanno un genoma di RNA a singolo filamento, a polarità positiva: pertanto, rientrano nella classe IV della classificazione di Baltimore. La lunghezza varia tra 27 e 34 chilobasi, rappresentando il genoma più esteso tra i virus a RNA. Il virione ha forma sferica ed è dotato di envelope lipidico; da questo, protrudono numerose proteine di forma bulbosa, dette spike o proteine S. In microscopia elettronica, queste proteine conferiscono al virione un aspetto che ricorda la corona solare, donde il nome della famiglia.

Al momento attuale, si conoscono 7 Coronavirus capaci di infettare l’uomo:

  • 4 specie endemiche, responsabili di raffreddori comuni, in rari casi di quadri più gravi;
  • SARS-CoV (da Severe Acute Respiratory Syndrome): emerso in Cina, causò l’epidemia di SARS nel 2002-03; da allora, non ha più registrato casi. Determina una grave polmonite interstiziale.
  • MERS-CoV: (da Middle East Respiratory Syndrome): emerso in Arabia Saudita nel 2012, da allora provoca focolai limitati ricorrenti. È il più grave di tutti, ma anche il meno trasmissibile.
  • SARS-CoV-2, così nominato per la stretta parentela con il virus del 2002; la relativa malattia è denominata COVID-19, che sta per COrona VIrus Disease 2019.


EPIDEMIOLOGIA

SARS-CoV-2 è apparso per la prima volta alla fine del 2019 a Wuhan, capitale dello Hubei, Cina. È arrivato alla specie umana compiendo un salto di specie, a partenza dal pipistrello ferro di cavallo, con la tappa intermedia del pangolino. Figura 1.2 Si suppone che tale processo sia avvenuto nel contesto del mercato di animali vivi della città, dove animali di specie diverse vengono imprigionati in condizioni di promiscuità. Grazie a un’efficace trasmissione da uomo a uomo, tale nuovo ceppo si è espanso rapidamente: a gennaio 2020 ha provocato una grave epidemia in tutta la Cina, e poco dopo si è propagato nel resto del mondo, configurando una pandemia.

L’infezione si contrae per via respiratoria: le porte di accesso all’organismo sono rappresentate dalle mucose di occhi, naso e bocca. Sono documentati rari casi di trasmissione per via oro-fecale; in ogni caso, non è possibile infettarsi attraverso la cute. Il virus penetra nelle cellule umane sfruttando la proteina di membrana ACE-2 (Angiotensin Converting Enzyme); questa è particolarmente abbondante sugli pneumociti di tipo II, siti negli alveoli polmonari, ma è anche espressa a livello del tratto gastro-intestinale. Il soggetto infetto, a propria volta, emette il virus nell’ambiente sotto forma di secrezioni respiratorie. È possibile il contagio anche da parte di individui con pochi, o nessun sintomo; resta dibattuto quanto peso abbia il contagio da asintomatici nella propagazione della pandemia. Complessivamente si riconoscono tre modalità di trasmissione del virus:

  • Infezione mediata da droplet (particelle > 5nm): è la modalità più importante. I droplet (conosciuti anche con l’eponimo del batteriologo tedesco Carl Flügge) sono goccioline di saliva grossolane, emesse fisiologicamente durante la respirazione, e in misura maggiore parlando, tossendo e starnutendo; i droplet provenienti da individui infetti contengono virioni capaci di infettare nuovi soggetti. Queste goccioline sono più pesanti dell’aria, per cui precipitano a terra nel raggio di 1-2 metri dalla persona che li ha emessi; la distanza percorsa varia a seconda di vari fattori, tra cui la velocità di eiezione (massima per colpi di tosse e starnuti) ed eventuali correnti d’aria presenti.


tabella 1.1

MATERIALETEMPO DI DIMEZZAMENTO
DELLA CAPACITA’ INFETTIVA
TEMPO DI ABBATTIMENTO COMPLETO
RAME2h4h
CARTONE5h24h
ACCIAIO INOSSIDABILE6h48h
PLASTICA7h72h
  • Infezione mediata da fomiti: gli infetti depositano particelle virali attive sugli oggetti con cui entrano in contatto, con le mani sporche e attraverso i droplet. Individui sani possono raccogliere inavvertitamente i virioni sulle proprie mani, e infettarsi toccandosi il volto. Tutti gli oggetti in grado di veicolare l’infezione in questo modo si definiscono fomiti. Fortunatamente, è possibile rimuovere il virus dalle mani tramite un lavaggio accurato con acqua e sapone, o frizionando con una soluzione di alcool concentrato almeno al 60%. Per quanto riguarda i fomiti, la sopravvivenza dei virioni attivi è fortemente condizionata da alcuni fattori: i più importanti sono il materiale, la temperatura e l’umidità ambientale. Dati una temperatura compresa tra 21° e 23° C, e un’umidità del 40% (condizioni comuni negli ambienti indoor), è stato determinato sperimentalmente che la carica virale decade spontaneamente secondo questi tempi: Tabella 1.1

In ogni caso, è possibili eliminare facilmente il virus dalle superfici grazie a ordinari prodotti per la pulizia, contenenti ad esempio alcool al 70% o cloro allo 0,1%.

  • Infezione mediata da aerosol (non dimostrata): gli aerosol sono goccioline fini, con diametro < 5nm. Come i droplet, sono emessi fisiologicamente da tutti gli esseri umani, ma a differenza di questi sono in grado di galleggiare nell’aria per un certo periodo di tempo. È ancora controverso se gli aerosol possano veicolare il contagio di SARS-CoV-2; in via precauzionale, al personale che lavora a contatto con i pazienti COVID-19, è raccomandato l’uso di mascherine FFP2 o FFP3, in grado di filtrare la maggior parte degli aerosol. La raccomandazione è più forte durante l’esecuzione di manovre che liberano ingenti quantità di aerosol provenienti dal paziente, come la ventilazione non invasiva o l’intubazione endotracheale.


Il tasso di letalità di una malattia rappresenta il rapporto tra pazienti deceduti e pazienti totali; ovviamente esso dipende non solo dalla malattia stessa, ma anche dallo stato di salute preesistente della popolazione e dalla qualità delle cure mediche. Purtroppo, è molto difficile calcolare il tasso di letalità per una malattia ancora in fase di espansione come COVID-19, con la maggior parte dei casi ancora malati al momento della valutazione. Questo è il motivo principale per la larghissima divergenza dei tassi calcolati nei vari paesi del mondo: attualmente, il tasso di letalità apparente in Italia è del 9,9%, in Cina del 4%, in Germania solo dello 0,5%. Probabilmente, il dato italiano è esagerato a causa della sottostima del denominatore: infatti, il nostro sistema sanitario è stato colto alla sprovvista dall’esplosione della pandemia, e non è riuscito a diagnosticare una grande quantità di casi lievi e asintomatici. Solo dopo una riduzione stabile e duratura dei contagi, sarà possibile misurare dei dati più affidabili e calcolare il reale tasso di letalità.
Tuttavia, conosciamo già alcuni importanti fattori prognostici negativi, che predispongono il paziente ad avere un decorso severo, con possibile exitus:

  • Età avanzata: in media, la gravità di malattia cresce con l’età, ma non linearmente. A un estremo, i bambini sotto i 10 anni hanno perlopiù un’infezione silente, ma sono comunque contagiosi. La letalità si mantiene sotto 0,4% fino ai 50 anni, poi cresce significativamente a ogni decade, fino a raggiungere il 14,8% nella fascia over 80. Figura 1.3
  • Patologie pregresse: maggiore il numero, maggiore il rischio di morte. In particolare, 5 sono le patologie di più frequente riscontro nelle vittime di COVID-19: malattia cardiovascolare, ipertensione arteriosa, diabete mellito, malattie respiratorie croniche e patologie oncologiche.
  • Sesso M: i maschi sono colpiti più spesso e più gravemente rispetto alle femmine, per motivi ancora da chiarire.
  • Gruppo sanguigno A: evidenza scientifica debole, ma degna di nota.
  • Abitudine al fumo di sigaretta.
  • Inoculo virale massiccio.


Nei pazienti deceduti con COVID-19, le complicanze riscontrate più di frequente sono, nell’ordine: insufficienza respiratoria, insufficienza renale acuta (AKI), danno miocardico acuto, sovrainfezioni.

CLINICA

Il periodo di incubazione va dai 2 ai 14 giorni, in media 5.


Analogamente a SARS e MERS, l’organo più colpito dal COVID-19 è il polmone, che può andare incontro a polmonite interstiziale, con compromissione degli scambi respiratori. Le manifestazioni gastrointestinali sono frequenti, ma meno gravi; sono possibili fenomeni trombotici, tendenti al quadro di CID (coagulazione intravascolare disseminata). Sono stati descritti anche casi di miocardite da SARS-CoV-2.
I segni e i sintomi di presentazione includono:

  • Febbre (80-98%: l’assenza non esclude la diagnosi)
  • Tosse secca (76%)
  • Dispnea (20-60%; inizialmente, ridotta tolleranza allo sforzo, poi dispnea per sforzi lievi e a riposo)
  • Malessere, mialgia (10-44%)
  • Espettorato (28%)
  • Rinorrea (5-15%)
  • Cefalea (10%)
  • Disturbi gastrointestinali (5-10%)
  • Emottisi (5%)
  • Faringite (2%)
  • Congiuntivite (1%)
  • Ageusia
  • Anosmia


Escludendo i casi di infezione asintomatica, la cui proporzione resta ancora ignota, i pazienti con COVID-19 possono avere quadri di gravità molto varia. Semplificando molto, distinguiamo tre categorie:

  • Malattia lieve (80% dei casi): sindrome simil-influenzale, trattabile a domicilio con farmaci da banco. È fondamentale che il paziente rispetti l’isolamento domiciliare ed eviti, per quanto possibile, ogni contatto con eventuali conviventi sani.
  • Malattia moderata (15%): all’EGA (emogasanalisi) arteriosa si riscontrano PaO2 ridotta e PaCO2 ridotta o normale, delineando un’insufficienza respiratoria di tipo I. Il paziente necessita di ricovero in ambiente non intensivo, e ossigenoterapia di supporto.
  • Malattia grave (5%): il rapporto PaO2/FIO2 scende sotto 300, delineando un quadro di ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome). Il paziente necessita di supporto ventilatorio in ambiente intensivo. Quando disponibile, la ventilazione invasiva è generalmente preferibile alla non invasiva (NIV).

DIAGNOSI

Per diagnosticare l’infezione da SARS-CoV-2, l’unico metodo a oggi validato è la ricerca del genoma virale, con tecnica RT-PCR (Real-Time Polymerase Chain Reaction), su un campione biologico prelevato dalle vie respiratorie mediante un tampone. Per decidere di candidare o meno un paziente all’esecuzione di un tampone, si considerano criteri di selezione di due ordini diversi:

  • criterio clinico: il paziente presenta segni e sintomi compatibili con COVID-19?
  • criterio epidemiologico: il paziente ha in anamnesi un’esposizione certa o probabile al SARS-CoV-2?


I dettagli specifici dell’algoritmo diagnostico variano ampiamente nello spazio e nel tempo, a seconda della disponibilità del test stesso, e altre considerazioni di economia sanitaria; sicuramente essi cambieranno ancora in futuro, con l’evoluzione della pandemia e della ricerca scientifica.

Sono stati di recente messi a punto alcuni test sierologici (che ricercano gli anticorpi nel sangue del paziente), più rapidi ed economici della RT-PCR. Purtroppo, come tutti i test di questo tipo, hanno un periodo finestra intercorrente tra l’infezione e la positivizzazione, la cui durata è ancora da determinare. Questo li rende scarsamente adatti all’applicazione clinica, ma saranno senz’altro preziosi per la ricerca epidemiologica, grazie al potere di diagnosticare una pregressa infezione misconosciuta.

Una volta accertata l’infezione, è fondamentale indagare la funzionalità degli scambi respiratori, e continuare a monitorarla per tutta la durata di malattia: questo si può realizzare con il saturimetro e con l’EGA. È opportuno effettuare anche test del cammino o altri test da sforzo, per smascherare una possibile insufficienza respiratoria silente a riposo.

Occorre inoltre visualizzare l’andamento macroscopico della malattia nel polmone, mediante la radiografia del torace e/o la TC ad alta risoluzione (HRCT) figura 1.5. Il radiogramma può mostrare opacità multiple a vetro smerigliato, tendenti alla confluenza. L’HRCT è più sensibile: il quadro tipico di COVID-19 grave comprende focolai multipli, bilaterali, sottopleurici, con tendenza all’espansione centripeta; questi focolai possono includere un motivo detto crazy paving, risultante dalla somma di un pattern di opacamento alveolare (a vetro smerigliato) con un pattern interstiziale, di ispessimento dei setti interlobulari. Nel complesso, questi reperti radiologici delineano un quadro di polmonite interstiziale, non specifico per COVID-19: infatti, infezioni diverse possono provocare lesioni sovrapponibili. Infine, anche l’ecografia del torace può essere d’aiuto: questa metodica non visualizza il polmone, ma mostra dei segni indiretti che permettono di inferire il grado di coinvolgimento del parenchima esplorato dalla sonda.

Anche agli esami ematochimici, sono stati individuati alcuni reperti tipici di COVID-19, utili soprattutto per il valore prognostico:

  • leucopenia (25% dei casi)
  • linfopenia con CD4+ bassi (63%)
  • AST elevata (37%)
  • disturbi del controllo glicemico
  • ipoalbuminemia
  • elevazione di LDH e VES
  • procalcitonina nella norma: in caso di elevazione del valore, può essere utile orientarsi su altre diagnosi, o sospettare una sovrainfezione
  • proteina C reattiva, ferritina ed IL-6 possono elevarsi e correlano con la severità di malattia.

CENNI DI TERAPIA

Oltre alle terapie di supporto menzionate precedentemente, la ricerca ferve per individuare delle terapie specifiche efficaci. Alcune delle molecole più promettenti, sperimentate finora, includono: tocilizumab, clorochina, idrossiclorochina, remdesivir, azitromicina, doxiciclina.

Anche la ricerca di un vaccino procede al ritmo più serrato possibile: al 20 marzo 2020, l’OMS registra 42 preparati vaccinali in fase di sperimentazione preclinica, e 2 già in corso di trial clinico di fase 1 (somministrazione a volontari sani).

Dr. Cussotto Federico

Bibliografia e Sitografia

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